PowerBook by Jeanette Winterson

PowerBook by Jeanette Winterson

autore:Jeanette Winterson [Winterson, Jeanette]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788852056086
Google: OjgPBQAAQBAJ
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 2014-10-13T22:00:00+00:00


schermo notturno

Notte. Schermo. Tap tap tap. Tap tap tap.

Il messaggio in codice che tutti possono leggere.

Continuo a raccontare questa storia – altra gente, altri luoghi, altri tempi – ma sempre tu, sempre io, sempre questa storia, perché una storia è come una corda per funamboli tesa tra due mondi.

MOSTRA COME ICONA

Non c’è dolore più grande che essere felice solo della felicità passata.

Questa è la storia di Francesca da Rimini e di Paolo, il suo amante. La si può trovare in Boccaccio. La si può trovare in Dante. La si può trovare qui.

Il castello di mio padre è di pietra. Pietra spessa come l’oscurità. L’oscurità è per l’interno ciò che la pietra è per l’esterno: impenetrabile, invalicabile, un nero-pietra, greve come il pensiero.

La pietra scura ci pesa addosso, i nostri pensieri ci opprimono. Facciamo rotolare il buio davanti a noi lungo i corridoi gelidi, e nelle stanze l’oscurità si accumula; occupa le nostre sedie, in attesa. Anche noi attendiamo.

Il castello è una sospensione tra buio e buio. Riempie lo spazio tra i pensieri di un uomo e le sue azioni. È stato mio padre a disegnare il castello. È come se noi vivessimo in lui.

Dentro il castello, i mobili sono in quercia nera di Spagna. Nell’unica stanza in cui teniamo acceso il fuoco c’è un lungo tavolo nero con candelieri. A questo tavolo ho visto Paolo per la prima volta.

Paolo il bello…

Da lungo tempo mio padre Guido è in lotta con Malatesta, signore di Rimini. Come condizione di pace è stato combinato un matrimonio e Paolo ha cavalcato fino alla fiera Ravenna per venire a prendermi e farmi da scorta.

La cupa sala era stata illuminata con candele e l’oscurità era stata in parte ricacciata, costretta a rannicchiarsi in strane forme, come respinta a colpi di frusta.

Ci vestimmo di nero, io e mia madre, perché mio padre ci aveva insegnato che ogni giorno è giorno di lutto. Non portavo ornamenti, ma i miei capelli sono sciolti e fluenti come la cascata che scroscia sotto le mie finestre. Come la cascata è domata dalla ruota, i miei capelli sono domati dalla treccia, ma l’una e gli altri finiscono con lo scappar via.

Li legai quanto più stretti possibile e scesi.

C’era una strana luce nella stanza. Non era il fuoco, né le candele, né l’effetto del temporale. Io non osavo alzare gli occhi per scoprirne la causa e camminavo muta verso la tavola, dove mio padre mi presentò a Paolo.

Senza guardarlo, gli porsi la mano e lui la baciò e mi infilò un anello al dito.

Durante il pasto mio padre parlò solo con gli inviati e non rivolse mai la parola né a Paolo né a me. Sentivo Paolo conversare con mia madre e la sua voce era simile al suono di un flauto o di una zampogna. Desideravo incrociare il suo sguardo ma non ne ero capace.

Alla fine del pasto, i miei genitori, tutti gli inviati e i servi lasciarono bruscamente la sala. Sul tavolo c’erano piatti sporchi e macchie di vino. Sentivo che Paolo mi stava guardando.



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